BOILER #20
Ciò che bolle in pentola, ovvero… news, note, interventi, segnalazioni, anticipazioni, articoli, canzoni, podcast, video, saggi inediti… di tutto e di più.
Ciao!
In questo numero di Boiler, nella parte open, una canzone operaia del calzolaio poeta Savinien Lapointe (1812-1893) La STRADA sulla tragedia della prostituzione parigina, con singolari punte horror che prevalgono decisamente sull’aspetto compassionevole.
Nella parte su abbonamento, continua la Biblioteca dei bestseller dimenticati 2- I primi saranno gli ultimi con la seconda parte del saggio su Marie Corelli e sul suo romanzo Temporal Power. Corelli spiega l’origine del nutrito filone giornalistico, letterario e scandalistico incentrato sulla famiglia reale inglese e spiega perché questo genere, allora nascente, fosse destinato a durare.
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Buona lettura!
Gianfranco
LA STRADA
LA RUE (canzone di SAVINIEN LAPOINTE, calzolaio)
Quando passiamo la sera, con la folla che aumenta,
In questo fossato profondo che si chiama la strada
Quale disgusto penetra nei nostri cuori raggelati!
Là, il vizio sfacciato cammina a grandi passi;
E così, quando la notte ha sparso le sue ombre,
Vedete lungo i muri, scivolare pallidi e oscuri
Questi spettri le cui bocche, offrendo i loro favori,
Sospirano richiami amari come lacrime
Sparse su un funerale, in direzione del luogo
Dell'orgia con i suoi vini; è una gioia orribile
Quella che appare nelle loro orbite vuote,
Sulla loro fronte stanca, nei loro sguardi fiochi.
L’edera funebre circonda queste fronti calve,
Il vapore delle tombe, che pesa sui loro occhi giallastri,
Avvelena anche l’aria. Fuggite questi corpi in lutto
Che vanno silenziosi, in uno splendente sudario,
Lanciando ogni notte lunghi scoppi di riso,
Come Roma ne lanciava nei dolori del martirio.
Lasciateli sguazzare nel fango, o vecchi,
Non avvicinatevi, temete questi sguardi
Indirizzati ai vostri sensi, e che sembrano promettere di
Immergervi interamente nelle acque della Giovinezza.
La prostituzione sa fare denaro di tutto;
È ciò di cui ha bisogno; ora, il denaro è ovunque.
La borsa del vecchio vale quella del giovane,
Per lui danzano anche le figlie di Sodoma.
Evitare il loro contatto, giovani adolescenti,
Non accendete i vostri sensi alle torce resinose
E non imparate mai il terrore che le loro bocche ispirano
Quando un sorriso mutano in smorfia
Per ottenere del pane inzuppato nel disgusto,
E che, triste, sbriciola al margine di uno scarico di fogna.
Oh! non imparate mai quanto la dissolutezza
Faccia appassire i fiori e quanti ne falci.
È, come la morte, attiva prima del tempo,
Vi farebbe vecchi nonostante i vostri diciotto anni.
Non assaporate mai tutti i veleni infami
Che si respirano sulle labbra di queste donne;
Perché ogni germoglio d’amore che alberga in voi
Crescerà corrotto. Non lo siate mai.
Bambini, sappiate cingere la corona del pudore,
Distogliete lo sguardo senza smarrire la compassione.
Forse ci sono ancora fiori preziosi
Che cercano il sole nel profondo di tutti questi cuori
Velati dal disprezzo e che il disprezzo divora?
Chi sa cosa una lacrima potrebbe far germogliare,
Cosa getterebbero attorno al tronco martoriato
D'ombra dove verrebbero a sedersi l'amore e la virtù?
La pietà, sorella di Cristo, scaccia l'intolleranza,
Il ritorno all'onore reclama la speranza.
Lasciate loro quindi la speranza che un giorno possano
Cancellare l'infamia attaccata alla loro fronte;
Che facendo spazio al giorno, l'oscurità si ritiri.
Lasciate che si avvicinino verso un bel crepuscolo
Che ricorda ancora loro le proprie culle dimenticate,
Un padre gioioso che bacia i loro piedini,
Il canto di una madre, e i venti del villaggio,
Così freschi, così penetranti, l'acqua del ruscello, il fogliame,
I prati verdi, i sassi, il vecchio pagliaio dove la sera
Una vecchia narra un racconto orribile e cupo
Che si ama ascoltare, e il luogo dove si danza,
Le foreste dove si corre, il bersaglio dove si lancia,
E i baci dati senza dover essere implorati,
Qui muoiono sotto l’archetto del vecchio menestrello
I ragazzi spensierati calpestando le erbe verdi,
Le ragazze del posto che, gioiose, agili,
Pazze, vanno a rincorrere l'insetto alato
Che scappa giocando tra le lunghe spighe di grano.
I freschi ragazzi, inebriati dalle loro risate pesanti,
Raggruppati ai piedi dell'albero dove l'ombra li attira,
Che ricorda loro ancora la vecchia croce di legno
Sul frontone della chiesa dove si prega, e la voce
Del curato che fulmina contro l'opera mondana,
Così forte, che il degno uomo è crollato senza fiato.
E soprattutto quel bel giorno in cui la devozione
Li fece inginocchiare per la comunione.
Dal presente al passato accorciate la distanza,
Oh! lasciateli piangere questi ricordi d'infanzia,
Così freschi, così puri, così felici che nel loro cerchio fatale
Passa un raggio d'aria che brilla sul suolo natio,
Che la brezza dei campi, consolante rondine,
Annuncia loro la primavera che rinasce,
E che la notte infine, tirando il suo velo spesso,
Li riporta alla luce del giorno. Compatiteli! Compatiteli!
D'avere, quando il ritorno al bene affascina la loro vista,
Potuto urtare la loro angelica fronte all'angolo della strada.